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clima e transizione equa

Una transizione con e per la gente

Durabilitas, il laboratorio svizzero di riflessione e sperimentazione dedicato alla sostenibilità, mobilita un’ampia varietà di attori, tra cui i sindacati, per inserire l’idea di «Transizione equa» nell’agenda politica e integrare la giustizia nei processi di transizione socio-ecologica al fine di renderli più equi e meglio accettati.

Per lottare contro il cambiamento climatico, i politici stanno attuando in modo tecnocratico politiche di transizione volte a ridurre a zero le emissioni nette di gas serra entro il 2050. Finora con scarso successo.

In Francia, il movimento dei Gilet Gialli nel 2018 ha chiaramente dimostrato che la fine del mondo e fine e fine del mese possono essere in contrasto se il governo impone a una popolazione al di fuori dei centri urbani, dipendente dall’auto, un massiccio aumento del prezzo dei carburanti in nome del clima. In Svizzera, la legge sul CO₂ sottoposta a votazione popolare nel giugno 2021 è stata respinta, principalmente perché conteneva misure incentivanti, tra cui una tassa, ritenute troppo vincolanti dalla maggioranza della popolazione, in particolare quella rurale.

Questi due esempi dimostrano che le politiche di transizione adottate senza integrare il concetto di transizione giusta, e quindi senza preoccuparsi delle implicazioni socioeconomiche e delle ingiustizie che essa può creare, sono destinate al fallimento. È quanto osserva «Durabilitas», il Think & Do Tank politico-scientifico senza scopo di lucro dedicato alla sostenibilità: «Esaminando da vicino queste situazioni, si può fare una constatazione ricorrente: la mancata considerazione delle questioni di giustizia sociale. Al contrario, l’idea di transizione giusta sostiene che una transizione ecologica non potrà avvenire senza giustizia. In altre parole, la riduzione delle ingiustizie durante i processi di transizione è la condizione stessa di queste transizioni».

All’origine un’idea sindacale

Il concetto di transizione giusta non è propriamente una novità, poiché affonda le sue radici nelle lotte sindacali statunitensi degli anni ’80 che rivendicavano la creazione di un fondo di sostegno ai lavoratori licenziati a causa dell’impatto ambientale del loro settore di attività (petrolifero, chimico e nucleare). Oggi l’idea è ampiamente diffusa e fa parte, ad esempio, dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015. Durante la COP 29 alla fine del 2024, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha difeso in questi termini la nuova impostazione: «Le politiche di transizione giusta devono dare priorità ai diritti del lavoro e al lavoro dignitoso». «Durabilitas» constata tuttavia che in Svizzera «il carattere vago, se non addirittura l’assenza, delle questioni di giustizia sociale nelle politiche ambientali svizzere è evidente». Ora, se le persone modeste e vulnerabili contribuiscono in misura relativamente minore al degrado ambientale, sono però sovraesposte all’inquinamento e a un ambiente degradato. Un articolo apparso recentemente su Le Temps (8.3.25) ha messo in evidenza il contrasto tra due città ginevrine. Da un lato Vernier, dove vive la popolazione più povera del cantone, è stata a lungo trattata come la «discarica» e il sistema fognario dei ginevrini, stretta tra il sorvolo degli aerei, le cisterne di petrolio e le zone inquinate. Vandoeuvres dall’altra parte, comune benestante della rive gauche ginevrina, in piena campagna, non ha tutti questi inconvenienti e beneficia di uno splendido parco e di buoni trasporti pubblici. È facile capire che le politiche ambientali non avranno lo stesso impatto su queste due popolazioni.

Sostenibilità e giustizia sociale

Se l’inazione e il mancato avvio della transizione avranno conseguenze negative ben documentate, anche le politiche di transizione possono comportare il rischio di un aumento delle disuguaglianze sociali. «Durabilitas» richiama l’attenzione su questi rischi di transizione spesso poco visibili. È necessario valutare in che modo le politiche ambientali influenzano in modo differenziato gli individui e i gruppi. È quindi opportuno lottare contro la cecità sociale di queste politiche: «Una Svizzera sostenibile è impossibile senza giustizia sociale». I diritti sociali e la partecipazione devono essere posti al centro delle politiche ambientali. Siamo ancora lontani dall’obiettivo con approcci che mirano alla «accettabilità sociale» piuttosto che cercare di ridurre le disuguaglianze ambientali. «Durabilitas» lo riassume così: «la transizione socio-ecologica non può avvenire senza e contro le persone».

Tavole rotonde

In Svizzera, nel mese di maggio sono state organizzate due tavole rotonde a Losanna e Berna per presentare e discutere questo concetto con diversi attori della società civile: ONG, sindacati, amministrazioni pubbliche, ricerca, ecc. Il SEV era presente e ha difeso l’idea che il trasporto pubblico sia una delle soluzioni contro il cambiamento climatico. Ha dimostrato che la questione della giustizia sociale è legata a questa sfida ambientale. Al centro dell’attrattiva delle professioni nel settore dei trasporti vi sono le questioni essenziali della salute e delle condizioni di lavoro dei/delle dipendenti, che devono migliorare.

Dopo le due fasi di elaborazione del progetto e di mobilitazione di un’ampia varietà di attori, sta per iniziare una terza fase volta a porre la giustizia sociale, i diritti sociali e la partecipazione al centro delle politiche ambientali. Si tratta di lavorare su metodi di diagnosi dei rischi in collaborazione con le lavoratrici e i lavoratori stessi, ad esempio sugli effetti delle ondate di calore o sulle misure per una mobilità decarbonizzata, tenendo conto delle condizioni di lavoro degli attori di questa mobilità. Ciò richiede l’identificazione congiunta dell’esposizione ai rischi con i lavoratori, le lavoratrici e i loro rappresentanti. Affinché la «Transizione giusta» non sia solo una semplice transizione.

Yves Sancey